Il lavoro
che sarà: tra robot, conservazione e innovazione.
Qualche giorno fa leggevo che entro il 2019 nelle nostre
case saranno presenti non meno di 30 milioni di robot intelligenti, oltre ai
circa 2,6 impiegati nel mondo dell’industria. Le previsioni, presentate al
World Economic Forum di Davos nel Rapporto “The future of Job”, anticipano lo
spostamento della robotica da un ambito scientifico alla vita aziendale e
quotidiana.
Nello scenario aziendale sempre di più questi robot
svolgeranno lavori che attualmente sono in carico agli esseri umani, ed infatti
dilaga una specie di psicosi diffusa che recita come un mantra “i robot ci
ruberanno il mestiere”. Il lavoro
nobilita l’uomo, si sa, e proprio per questo è un valore che neanche la
tecnologia più avanzata e l’innovazione più dirompente potrà sottrarci.
Non credo che debbano essere cavalcati allarmismi a
riguardo, sarà un processo graduale e in divenire: non è detto che i robot
saranno quelli che abbiamo visto nei film di fantascienza, ma macchine e
devices che, potendo essere personalizzate in base alle esigenze di chi le
utilizza, contribuiranno a migliorarci la vita.
La storia magistra vitae ci insegna infatti che il
progresso tecnologico ha sempre creato ricchezza e nuova occupazione: ad
esempio alla fine del diciannovesimo secolo in Inghilterra, il numero delle
imprese era 4 volte maggiore rispetto a quelle esistenti nel 1830: l’avvento
dei robot nella catena economica deve però avvenire in maniera controllata
attraverso misure che, soprattutto nel breve periodo, tutelino le categorie più
deboli.
Avere colleghi robot
in molte aziende è ormai una realtà: dai carrelli automatici che prelevano i
prodotti all’interno dei magazzini Amazon alle SpeedFactory di Adidas dove le
scarpe vengono costruite quasi senza intervento umano, l’avanzata delle
macchine sui luoghi di lavoro sembra ormai inarrestabile.
La tecnologia sta
contribuendo a ridisegnare le attività produttive in ogni ambito e a tutti i
livelli: i nuovi lavoratori elettronici infatti non si occupano solo dei lavori
più ripetitivi e di basso profilo, ma sono sempre più spesso impiegati anche in
quelle che vengono definite professioni della conoscenza. Sistemi ancora più
sofisticati vengono impiegati nel mondo della finanza per la gestione dei
portafogli di titoli e per la previsione dell’andamento dei mercati, ma anche
negli studi legali per effettuare in pochi secondi ricerche che a un essere
umano richiederebbero ore o giorni di lavoro.
Sapete
però perchè, a mio avviso, l’impiego della tecnologia nel lavoro non deve mai
essere demonizzato?
L’automazione dei processi produttivi porta prima di tutto
un risparmio sui costi: questo permette a noi aziende di abbassare i prezzi e
quindi vendere di più. La maggiore domanda avrà come effetto positivo quello di
generare nuovi posti di lavoro che in parte saranno ancora destinati ai robot,
mentre altri andranno a lavoratori in carne ed ossa.
I maggiori profitti conseguiti dalle aziende permetteranno
di incrementare i salari. I lavoratori, data la maggior capacità di spesa,
potranno aumentare i consumi e la maggior domanda innescherà la creazione di
nuovi posti di lavoro. La diminuzione dei prezzi, a parità di salari,
permetterà ai lavoratori di accedere ad una maggiore quantità di beni.
Nasceranno nuovi bisogni di capacità legate al
trasferimento tecnologico, tese a colmare i gap di conoscenza introdotti da
nuove funzionalità nei confronti delle reali applicazioni di business.
Ciò
che va sempre ricordato è che il corpo umano non lavora sulla base di un
algoritmo predefinito, il robot non possiede quella capacità creativa che è
naturale nel soggetto umano e che gli permette di gestire le proprie risorse
per rispondere ad un problema. Non avallo insomma la
profezia di Frey e Osborne secondo la quale nel giro di 20 anni si rischia di
arrivare a robotizzare il 47% dei posti di lavoro. I robot sostituiranno gli
esseri umani in quelle attività manuali in cui è a rischio la salute o si
richiede un grande sforzo fisico. Ma è chiaro che dietro a una macchina ci
vuole una persona che la programmi. I robot sono una grande
conquista dell'umanità. Certo, possono diventare un pericolo, ma diventano tale
solo se è l'uomo a volerlo. Sono realtà neutre, il fatto che possano essere
conquiste o pericoli dipende da come le utilizziamo». Per questo credo che la robotica finirà, a mio avviso, per creare nuove
opportunità di lavoro.
Tutte
le rivoluzioni tecnologiche della storia hanno fatto sviluppare il lavoro
dell’uomo in tutti i suoi aspetti, non l’hanno mai asfaltato ma accellerato ed
evoluto. Il lavoro è ciò che conferisce dignità all’esistenza, che ci aggancia
alla realtà, che ci eleva dall’asfalto del quotidiano e per tali ragioni
nessuna macchina potrà sostituirsi alle inclinazioni e alle skills dell’uomo in
tutti i suoi aspetti.
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